Goal 1-10: esperienze territoriali significative, ma manca una visione di sistema

Riqualificazione dei territori, riduzione della povertà energetica, coordinamento società-istituzioni, interventi sui quartieri, dialogo con i cittadini: questi i temi del convegno nazionale su una giusta transizione ecologica. 7/10/21

RIVEDI IL VIDEO INTEGRALE

 

“C’è una grande mobilitazione della società civile”. Pierluigi Stefanini, copresidente dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, ha aperto così il convegno nazionale “La giusta transizione ecologica: quando la società è più avanti della politica”, nell’ambito del Festival dello Sviluppo Sostenibile, organizzato dal Gruppo di lavoro sui Goal 1 (Sconfiggere la povertà) e 10 (Ridurre le disuguaglianze), svoltosi il 6 ottobre presso l’Auditorium del Palazzo delle Esposizioni di Roma e in diretta streaming.

“Nel nostro Rapporto lanciamo un grido di allarme: non stiamo agendo in modo deciso. Per questo è fondamentale una mobilitazione ampia e a tutti i livelli. Se c’è la volontà e l’impegno le cose si possono cambiare”, ha proseguito Stefanini, sottolineando l’importanza di aggiornare la Strategia nazionale di sviluppo sostenibile collegandola al Pnrr, identificare target precisi per il 2030 e individuare azioni coerenti con il Green Deal europeo.

Il grande tema della ricchezza comune. A seguire, ha introdotto gli interventi Vittorio Cogliati Dezza, coordinamento del Forum disuguaglianze e diversità. “Capire in quale situazione ci inseriamo è fondamentale per la messa a terra delle indicazioni. Quello che è successo a Milano (la Pre-Cop, ndr) ha avuto una risonanza unica. La politica internazionale non ha più molto tempo e deve iniziare a usare un linguaggio semplice e accessibile a tutti”.  

“Come dice Don Milani: ‘Caricare il peso della transizione ecologica in parti uguali tra disuguali vuol dire accrescere solo le disuguaglianze’”, ha proseguito Cogliati Dezza. “I vulnerabili sono quelli che pagano di più la crisi climatica e pandemica, e oggi siamo qui per questo”. Secondo il coordinatore del Forum DD bisogna affrontare il “grande tema della ricchezza comune (servizi sociali, istruzione, servizi culturali, accesso mobilità sostenibile, accesso al verde, qualità dell’aria): questa ricchezza consente di donare dignità alla vita individuale e collettiva, compensando la ricchezza privata”.

Migliorare la povertà energetica. Giovanni Carrosio dell’Università di Trieste ha esposto il percorso di una “ricerca-azione” sulla povertà energetica e la giustizia sociale nelle microaree triestine. “I poveri di energia sono le persone che si trovano in situazioni molto diversificate: morosità strutturali, rinuncia a spese alternative pur di pagare le bollette, rinuncia a scaldarsi nei mesi invernali o a rinfrescarsi in quelli estivi. È chiaro che una misura esclusivamente statistica del fenomeno abbia margini di inattendibilità”. L’obiettivo della ricerca è dunque quello di indagare questo fenomeno da un nuovo punto di vista: “Stiamo portando avanti una ricerca-azione che possa piegare ambientalmente le politiche sociali, o piegare socialmente le politiche ambientali, aiutando le persone a reinvestire sul verde e a puntare sull’efficienza del fabbisogno energetico, capendo, ad esempio, come accedere al bonus energia”.

Bisogna incontrare le persone. “La povertà non è una casualità né un’emergenza contingente. Stabilire paradigmi risulta decisivo per combattere la povertà”. Queste le parole di Federico Valenzano, di Caritas Modena, che ha richiamato l’importanza di dialogare efficacemente con le istituzioni. “Il lockdown ha offerto varie possibilità: abbiamo incontrato le persone presso le loro abitazioni, abbiamo condiviso parte del nostro tempo nei loro spazi di vita quotidiana. Non è sufficiente dare, bisogna intervenire per rendersi conto, e mettere a fuoco i problemi che devono essere risolti. Bisogna aprire occhi e orecchie”.

Il progetto “Fiducia nella città”. A questo proposito, Elena Bellei, di Caritas Modena, ha sottolineato che “il progetto ‘Fiducia nella città’, promosso sempre da Caritas, ha come obiettivo di rilevare le necessità inespresse della popolazione”. A questo proposito, è fondamentale “osservare i contesti condominiali, la mancanza di legami e fiducia nel vicinato, rendendo i soggetti che non hanno spazio e non vengono coinvolti protagonisti della discussione”.

L’innovazione di una comunità energetica. Maria Teresa Imparato di Legambiente Campania ha invece parlato dell’“avventura” della prima comunità energetica e solidale di San Giovanni a Teduccio. “Il 4 maggio eravamo sul tetto per fare il primo sopralluogo”, ha ricordato Imparato. “Un impianto fotovoltaico di 53 Kw/h. Con le mamme del quartiere, abbiamo firmato il primo atto notarile per costituire una comunità energetica, spiegando che ci sarebbe stata la possibilità di produrre energia ma anche di condividerla”.

“Le 40 famiglie non solo riceveranno l’energia pulita”, ha sottolineato Imparato, “ma con un sistema di accumulo l’energia in più verrà venduta al gestore nazionale. Questa è una storia di riscatto”.

Gli strumenti di policy territoriale. Gaetano Giunta, segretario generale Fondazione di comunità di Messina, ha portato invece esempi di policy territoriale. Uno tra questi riguarda l’emergenza abitativa: “A Messina, 2000 famiglie ancora vivevano nelle baraccopoli, dopo il terremoto del 1908. In questi luoghi le persone hanno una vita media da tre a otto anni inferiore a quella del resto della città”. Per combattere questo fenomeno sono state generate due alternative: una tradizionale, di rimodernamento delle abitazioni in disuso; l’altra che ha invece previsto l’utilizzo di un “capitale di capacitazione” per acquistare case di proprietà. “Le ex baraccopoli sono diventate beni comuni, dove stiamo sperimentando comunità energetiche governate da hub in grado di redistribuire energia secondo bisogni sociali e prezzi differenziati”.

Il caso del Rione Stanga di Padova. Elisa Nicoletti, di Legambiente Padova, ha invece raccontato i risultati del progetto sul Rione Stanga di Padova, “la prima periferia urbana della città”, diventata famosa per il “ghetto del Muro di Vianelli”. Nel 2005, infatti, in quest’area sono state erette delle mura per isolare i “palazzoni” dal resto del territorio, perché sede di spaccio. “A dicembre 2019 è iniziata la demolizione di palazzine, e sorgerà lì una nuova questura”, ha sottolineato Nicoletti. “Molte associazioni si sono attivate per migliorare la condizione del contesto. Il comune di Padova ha istituito un tavolo di coordinamento territoriale che mette insieme realtà formali e informali della zona, stimolando interventi per migliorare la situazione”. Tra questi il progetto “Diamo ossigeno ai quartieri”, che valorizza la ricchezza del territorio, rivitalizzando o creando luoghi di ritrovo dove si possa fare comunità. 

Riconnettersi con la natura. “Questo mondo ha bisogno di aprirsi a quello dei non esperti”, ha ricordato invece Fabio Volo, scrittore e speaker radiofonico. “Bisogna decodificare i messaggi: esiste una fetta di società che ha coscienza dello sviluppo sostenibile, ma parte che invece non ne ha”.

“Credo che il problema reale sia la riconnessione con la natura”, ha aggiunto Volo. “La natura ci consegna una grammatica comportamentale. Noi non entriamo nella natura, ma siamo la natura. Non ho bisogno di dire ai miei bambini di non buttare la carta per terra: è la natura a farlo”.

Una politica frammentaria. Sabina De Luca, Coordinamento Forum disuguaglianze e diversità, ha ricordato che “per ricostruire il perimetro delle politiche urbane bisogna fare un’operazione né scontata né poco controversa”. Il Pnrr eredita infatti la forte frammentazione delle politiche urbane, e “ancora rinuncia a delineare un quadro unitario e una stabilità nel tempo”. La maggior parte degli interventi urbani, infatti, “sono concepiti tramite bandi, limitati a singoli interventi e dunque depotenziati”.

“Nella maggioranza dei casi, le misure del Pnrr ci dimostrano che a fronte di obiettivi molto ampi, le regole di finanziamento si limitano quasi esclusivamente alla riqualificazione fisica e infrastrutturale”, prosegue De Luca. “Noi suscitiamo nei territori aspettative e poi garantiamo finanziamento solo su una parte di questa visione, lasciando ai comuni l’onere di trovare una copertura per quello che manca”.

Interazione tra persone e spazi abitativi. Stefania Bonaldi, sindaca di Crema e presidente Ali autonomie Lombardia, ha ricordato la necessità di maggiore giustizia sociale, specialmente nelle periferie. “Quando parliamo di politiche abitative dobbiamo precisare che si tratta del modo in cui consideriamo le persone rispetto agli ambienti in cui vivono. L’interazione tra la persona e lo spazio in cui vive non è neutra. Prendersi cura della periferia vuol dire prendersi cura di tutta la comunità”.

Per raggiungere questo obiettivo c’è bisogno di una coprogettazione sociale, coinvolgendo tutte le parti in causa. “Ci muoviamo su coprogettazione rispetto a vari ambiti”, ha detto Bonaldi, ricordando i risultati raggiunti a Crema. “Ad esempio, tramite l’inclusione socio-lavorativa e il miglioramento delle soluzioni abitative”. La sindaca ha anche fatto notare l’ottimo riscontro che ha avuto la costruzione di “laboratori sociali, per l’accompagnamento educativo, ma anche iniziative ludiche per il decoro urbano”.

“Ripartire dal costruito”. Margherita Grazioli, Movimento per il diritto all’abitare e il sindacato inquilini, ha acceso i riflettori sulla condizione di deprivazione in cui si trovano molte persone, ad esempio, a Roma. “Ci sono decine o centinaia di migliaia di alloggi vuoti o inutilizzati. Il messaggero ha sottolineato, in un articolo, che esistono 100mila esecuzioni di sfratto in attesa di essere compiute. 4.500 solo a Roma, la maggior parte per morosità incolpevole”.

“In politica si continua a ragionare con un approccio emergenziale e patologizzante”, ha aggiunto. “Riteniamo che sia fondamentale ripartire dal costruito e da ciò che esiste già. Sulla questione della casa si sta per abbattere uno tsunami”.

La politica ambientale deve beneficiare i più vulnerabili. Fabrizio Barca, coordinatore Forum disuguaglianze e diversità, ha aperto la seconda sessione dell’incontro, dedicata al dialogo tra società civile e governo sul tema di povertà e disuguaglianze.

“Ci sono due modi per affrontare la giustizia sociale e ambientale”, ha detto Barca. “Il primo è usare l’impatto sociale degli interventi ambientali per frenare il cambiamento. Il secondo è che il primo obiettivo di politica ambientale dia benefici alle persone vulnerabili, dia loro un’opportunità e in questo modo abbia effetti sullo sviluppo. Questa seconda opzione è l’unica ragionevole e possibile”.

“Le esperienze che abbiamo visto sono significative, ma non diventano di sistema. Questo è il male del Paese. Cosa ci vuole perché diventi di sistema?”

L’importanza della prossimità. La prima risposta è arrivata da Riccardo De Facci, presidente del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca). “È fondamentale anzitutto la prossimità: non si può più pensare di chiudersi nella logica ente-gestore. Il ragionamento deve essere soggetto alla politica sociale reale”. Come già sottolineato, è importante il tema della coprogrammazione: “Non ci sono ancora tavoli nazionali dove discutere di come gestire i fondi. L’8 per mille non può essere l’elemento strutturale di accompagnamento dell’economia solidale. Forse non ci basta più un’economia circolare applicata solo all’ambiente: abbiamo bisogno di una che usi il capitale umano come soggetto di protagonismo. Quel capitale umano fa parte di un progetto sociale che guarda alla comunità e all’ambiente”.

Il legame tra legislazione europea e italiana. Monica Frassoni, presidente dell’European alliance to save energy (Ease), ha parlato della difficoltà tecnica dei progetti europei a diventare efficaci a livello territoriale. “La sfida più grossa è realizzare gli obiettivi attraverso progetti di qualità”. Il tipo di fermento registrato durante la fase di mobilitazione per la formazione del Pnrr “deve trovare ora applicazione attraverso il controllo dell’effetto sui progetti singoli”. La presidente ha inoltre sottolineato il “forte legame tra legislazione a livello europeo e italiano, in particolare dal punto di vista energetico: è un tema di grande battaglia politica, e la spesa del Pnrr deve essere coerente con queste norme. Ma se le norme lasciano delle aperture all’incoerenza è evidente che non andremo nella giusta direzione”.

C’è bisogno di “portatori di diritti”. Massimo Pallottino, Caritas italiana, ha rimarcato che, in Italia, “esistono esperienze profetiche, ma queste fanno fatica a diventare un quadro. Questo accade anche per la difficoltà di uscire dalla prospettiva sindacale”. Pallottino ha dunque evidenziato la necessità di “dialogare in maniere insistente tra la società civile e con le istituzioni”, aggiungendo che “la crisi è il momento della scelta”. Alla base di questa scelta ci devono essere valori condivisi: “le regole del gioco sono quelle della decisione veloce e dell’implementazione. Peggio della pandemia c’è solo il rischio di sprecarla. Più che stakeholder, ovvero portatori d’interesse, abbiamo bisogno di portatori di diritti”.

Il Paese deve partire dall’ambiente. Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente, ha dichiarato che la transizione ecologica può essere la chiave per affrontare il disagio delle aree territoriali “senza speranza”. “Abbiamo raccontato di esperienze di cambiamento ecologico e degli impatti sul Paese. Ma deve accadere l’esatto contrario. Il Paese deve partire da queste esperienze e dalle idee di futuro per ripensarsi”.

“Il Pnrr ha di positivo che sta dentro i cardini europei. Ma dobbiamo guardare oltre: nei prossimi dieci anni ci saranno scelte centrali da prendere per il Paese. Le riforme che chiede l’Europa sono di guardare al futuro e cambiare l’ordine delle priorità”. Zanchini ha individuato poi due banchi di prova per gli anni a venire: la riforma fiscale e il cambio delle politiche ordinarie (come quella del 110%, che necessita di una “revisione sistemica”).

“Dobbiamo raccontare le esperienze fuoriuscite da questo convegno per dire al Paese che la transizione ecologica può risolvere problemi. Le bollette possono essere ridotte perché il nostro Paese ha in mente delle soluzioni. C’è possibilità per il lavoro e per un miglioramento della qualità vita. Leggiamo dentro i messaggi per disegnare il futuro del Paese”.

“Deve essere fatto un cambio di lenti”. Alessia Rotta, presidente della commissione ambiente della Camera, ha ricordato che “il Pnrr è stato pensato per colmare le disparità e le incrostazioni di questo Paese, che sono generazionali e di genere. La politica di transizione deve essere una politica di giustizia sociale”.

“La disparità non è solo tra periferie e centro, ma anche in termini di povertà”, ha proseguito Rotta. “Deve essere fatto un cambio di lenti. Oggi è stato confermato che è possibile ma non automatico”. Rotta ha poi sottolineato che ambiente, salute e società, come ci ha dimostrato la pandemia, devono andare insieme, ma allo stesso tempo c’è bisogno di una “ginnastica per la mente” che ci aiuti a cambiare i modi in cui agiamo e ci comportiamo. “Non ci può più essere qualcuno che parla e qualcuno che ascolta: così, lasceremo sempre le persone con il loro senso di colpa e la loro azione individuale”.

Bisogno di innovazione sociale. Rossella Muroni, vicepresidente della commissione ambiente della Camera, ha sottolineato come la politica “non si debba nascondere dietro l’innovazione tecnologica per il portato principale, ovvero l’innovazione sociale. Il dialogo sociale è molto scomodo, perché non passa più solo per grandi organizzazioni, ma va promosso”.

“Se si vuol fare innovazione sociale si deve smettere di parlare solo di innovazione e serve la partecipazione, attraverso le comunità energetiche o l’economia circolare. Ad esempio, con l’economia circolare, i cittadini smettono di essere cittadini inconsapevoli, e diventano addirittura creatori di materia prima”.

“Dire che le bollette aumentano per la transizione ecologica e che sarà un bagno di sangue, come riportato dai giornali, è una bugia”, ha aggiunto Muroni. “È solo che siamo molto in ritardo”.  

Un cambiamento culturale e politico. “Perché queste esperienze non diventano sistema?”, si è chiesto in conclusione del convegno Enrico Giovannini, ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili. “Siamo affetti dal benaltrismo. Ogni volta che c’è una bella esperienza, diciamo che ci vorrebbe ben altro”.

Il ministro ha sottolineato anche l’importanza “culturale e politica” di aver modificato il nome di alcuni ministeri (come quello della Transizione ecologica, o quello delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili).

“Ho l’impressione che la discussione sia ancora troppo ancorata al Pnrr, che ormai è definito”, ha sottolineato Giovannini. “Ricordo inoltre che a fine 2022 il regolamento prevede una possibile revisione del Pnrr”.

Il ministro ha fatto inoltre notare la trasformazione radicale che sta avvenendo nella politica urbana e abitativa. “Al Programma nazionale della qualità dell'abitare (Pinqua), già finanziato dalla ministra Micheli con 430 milioni di euro, abbiamo aggiunto 2,8 miliardi di euro. Questo piano è importante perché ci sono 271 luoghi in Italia che verranno interessati da progetti finanziati per una trasformazione in senso ecologico, per combattere le disuguaglianze e promuovere un cambiamento strutturale”.

“Tutto questo non basta”, ha sostenuto il ministro, che ha sottolineato il bisogno di lavorare sulla rigenerazione urbana, sul trasporto pubblico locale e di un fondo per l’adattamento al cambiamento climatico.

“Bene, adesso cominciamo”, ha concluso Fabrizio Barca.  

 

GUARDA LA NONA PUNTATA DEL TG FESTIVAL

 

di Flavio Natale

Giovedì 07 Ottobre 2021